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performance

ODISSEO

il naufragio dell'accoglienza
 
4° tappa dal progetto re-mapping sicily
  
coreografia e regia Roberto Zappalà
drammaturgia Nello Calabrò e Roberto Zappalà
musiche G.Bryars, P.Castrogiovanni, G.Mahler, A.Meeropol, C.Porter, M.Herbert, G. Prokofieff, E.Satie, W.A.Mozart, G.Rossini, C.Chaplin, G&I Gershwin, J.Dowland
schizzi, collages e decoupages musicali Puccio Castrogiovanni
pennelli e colle digitali Salvo Noto
danzatori Jan Brezina, Adriano Coletta, Maud de la Purification, Lorenza Di Calogero, Liisa Pietikainen, Roberto Provenzano, Fernando Roldan Ferrer, Salvatore Romania
 
soprano Marianna Cappellani
voce di Franco Battiato per le letture di Lucrezio, Plutarco
luci e scene Roberto Zappalà
costumi Debora Privitera e Roberto Zappalà
realizzazione maschere Istvan Zimmermann/Plastikart Studio
 
assistente ripetitrice Paola Valenti
responsabile tecnico Sammy Torrisi
direttore di produzione e tour manager Maria Inguscio
 
 
una coproduzione compagnia zappalà danza , Scenario Pubblico international choreographic centre Sicily
in collaborazione con Teatro Stabile di Catania, ArtEZ Arnhem (NL),
AME Associazione Musicale Etnea, uva grapes Catania contemporary Network
 
con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Regione Siciliana Ass.to del Turismo, Sport e Spettacolo
prima assoluta 13 gennaio 2011 TE.ST Teatro Stabile di Catania
 
 
un ringraziamento particolare a Franco Battiato
si ringrazia Fabrizio Villa per il materiale fotografico concesso in visione
 
Re-mapping sicily, il progetto di Roberto Zappalà, continua con “Odisseo”, un lavoro sull’emigrazione/immigrazione e sul rapporto che noi bianchi/occidentali abbiamo nei confronti del popolo migrante. Sia il viaggio di Ulisse che molte delle tragiche odissee del tempo presente si dislocano entrambi nella stessa mappa: il mediterraneo. Mediterraneo che vede la Sicilia al suo centro, e sempre la Sicilia è stata tra la massime produttrici di “materiale umano da esportazione” tra ‘800 e ‘900.
Odisseo/Ulisse era un migrante?
Un migrante di oggi è il nuovo Ulisse?
Con tutte le ovvie differenze, Ulisse è stato di sicuro, nel suo interminabile nostos, uno straniero che si doveva confrontare con l’etica dell’accoglienza. Era l’altro. E l’incontro/scontro con l’altro è la vera sfida del XXI secolo; perché l’altro, come dice Ryszard Kapuscinski, è “lo specchio nel quale ci guardiamo, o nel quale veniamo guardati: uno specchio che ci smaschera e ci denuda e del quale facciamo volentieri a meno”, e anche perché “tutti noi, abitanti del nostro pianeta,siamo altri rispetto ad altri.”
Con “ODISSEO” (iI naufragio dell’accoglienza) si cerca di ritrovare il cuore di un mondo e di un’avventura, che secondo Perec scaturisce dall’incontro di due parole: erranza e speranza.
Nello Calabrò
 
 
“…Lo spettacolo è soprattutto l’evocazione di un eterno peregrinare nel mare, che, con la sua vitale e sostanziale presenza sensuale e sensoriale, si fa nucleo centrale, fattore dinamico e fisico che accomuna e separa, che dà la vita e la toglie. Corpi sbattuti, ammassati, sopraffatti, violenti, lacerati dalle onde, aggrovigliati, vigorosi, imponenti l’uno su l’altro… Ogni articolazione, ogni dinamica è un filo di movimento che corre e attraversa lo spazio e il tempo, il pieno e il vuoto, si articola, si sgrana, si appuntisce, si ritorce, si dirama e svanisce fra le curvature del movimento dell’altro: rassegnazione, sbigottimento, dannazione, disperazione, spasimo e speranze sbattute contro quei muri di indifferenza imposti dalla società contemporanea come onde che ritornano su se stesse. Il rapporto fra genti e popoli è sempre lancinante, i corpi lottano, si incontrano, si baciano, si attraggono e si respingono, prevale l’istinto poi la ragione, poi di nuovo l’istinto. Il movimento è fatto di linee figurative e astratte, sinuose, geometriche, furiose, combattive, che ci restituiscono un’umanità sofferente, esangue, come in preda ad un imminente disfacimento…” Filippa Ilardo, Sipario online
 
“…Il lavoro ha un inizio folgorante: dopo che una divinità in assetto da golfista lancia lontano il globo terrestre con tutte le sue avventure, sull’Adagietto di Mahler si avvia una danza a terra di due uomini, corpi squassati dai marosi e dalla stanchezza, mossi con una calibrata lentezza, l’uno su l’altro, in un intreccio fisico e insieme drammatico, che rimanda ai Naufraghi di Gericault. I movimenti sono intensi, accurati, apparentemente naturali: c’è una teatralità affidata esclusivamente al corpo del danzatore, che sa, come pochi, sembrare allo stesso tempo materia e metafora. Da lì, per assonanza o contrasto tematico, si inanellano sequenze affidate a otto interpreti (tre ragazze e cinque uomini), scattanti, nervosi, atletici, totalmente al servizio del loro autore che di volta in volta cambia registro per evocare situazioni/condizioni umane, passando da momenti di danza pura- geometrica, scattosa, aggressiva – ad altri più performativi in cui la diversità e l’accoglienza sono enfatizzate da scene di rude disagio …” Silvia Poletti, del Teatro.it
 
“ … Croci feticcio per gli otto migranti che abitano la scena con urgenza e prepotenza, raccontano il loro pellegrinaggio attraverso il corpo che muta in scrittura, cartina, mappa, tatuano con movenze e azioni il linguaggio coreografico visionario, abbattendo le barriere dell’immaginazione e del pregiudizio. Il mito rivisitato, inizia in un tempo lento e sospeso, scandito da una mazza da golf, per portarci verso la corrente che agita le anime deportate , rigurgitanti il loro dolore, squassano l’aria e le onde in movimenti di dannazione e rassegnazione, ci indicano la strada per resistere alle separazioni, come curare le ferite. Tremano per quel sisma interno che sconvolge chiunque, viene bollato come diverso, svelano la loro parte ombrosa, precipitano nella pancia nera dell’umanità offesa. Si cercano e si evitano, si abbracciano e si scontrano, si schiantano e rialzano. Ritrovano quel che non sapevano più e perdono quello che non sanno ancora di essere. Gronda il palcoscenico di sudore, muscoli contratti, spasimo, sbigottimento, alienazione, coraggio. … Chi meglio di un siciliano può raccontare la trasmigrazione? Zappalà lo fa con passione e professionalità, attraverso la sua cifra artistica e la danza, ritornano i temi a lui cari: il gesto, il contatto terrigno dei corpi, la rivolta, in questo caso in tutte le lingue del mondo nel finale urlato della performance…” Francesca Motta, il sole24ore.com
 
“ Dopo lo spettacolo-denuncia A. semu tutti devoti tutti?, Roberto Zappalà torna a fare del melting pot socio-culturale siciliano un fattore in grado di indagare l’universalità di situazioni delicate e complesse, quali l’emigrazione/immigrazione. Il valore estetico e teatrale del prodotto firmato Zappalà, colto e raffinato coreografo che si avvale della dramaturgie di Nello Calabrò, non viene per nulla sminuito dalla complessità delle tematiche affrontate, ma anzi, gli innumerevoli spunti scaturiti dall’argomento proposto s’incarnano in altrettanti corto circuiti coreo-sceno-musicali, suscettibili a loro volta d’innumerevoli chiavi di lettura… Forse proprio il “Laboratorio Sicilia” per le sue precipue caratteristiche socio-culturali potrebbe fornire un possibile modello d’intervento per porre le basi del necessario melange tra immensa ricchezza culturale di coloro che scelgono l’Italia come loro residenza e la nostra sedimentazione storica.”
Carmelo Antonio Zapparata, Arte e Arti Magazine